😀😀 Il tempo era cambiato improvvisamente e la temperatura aveva superato i trenta gradi. Nel cortile della scuola i bambini correvano in maglietta e pantaloncini.
Sofia, l’infermiera della scuola, stava facendo il suo giro di routine nel corridoio quando uno studente attirò subito la sua attenzione. Indossava pantaloni scuri lunghi, una giacca pesante e… un berretto di lana, lo stesso che aveva portato tutto l’inverno, con i piccoli pon pon, calato fin sopra le sopracciglia.😭😭
Sofia aggrottò le sopracciglia.
«Ciao, tesoro» disse dolcemente quando il bambino entrò nel suo ufficio. «Fa molto caldo oggi… non pensi che sarebbe meglio toglierti il cappello?»😊😊
Il ragazzo fece un passo indietro, stringendo il berretto con entrambe le mani, come se avesse paura che glielo togliessero con la forza.
«No, grazie» sussurrò. «Devo tenerlo.»
L’infermiera non insistette, ma sentì crescere in lei un senso di inquietudine. Il bambino era teso, sobbalzava a ogni minimo movimento del cappello, come se sotto si nascondesse qualcosa di terribile.😍😍
Quando Sofia finalmente gli tolse il cappello, rimase profondamente sconvolta.
Continua nel primo commento.👇👇
Più tardi, durante il pranzo, ne parlò con la maestra.
«Sono davvero preoccupata. Porta quel cappello tutti i giorni da quando sono finite le vacanze di primavera, prima mai. Durante l’ora di educazione fisica ha avuto un crollo quando l’allenatore gli ha chiesto di toglierlo. Abbiamo deciso di non insistere.»
Non riuscendo a togliersi quel pensiero dalla testa, Sofia chiamò quella sera il numero indicato nella cartella medica del bambino.
«Buonasera, sono l’infermiera della scuola di suo figlio.»
«Non è malato» interruppe una voce maschile. «Non corriamo dal medico senza motivo.»
«Ho notato che porta ancora il cappello invernale nonostante il caldo. Forse ha la pelle del cuoio capelluto sensibile? O qualche altro problema?»
Dopo una lunga pausa arrivò la risposta:
«È una decisione familiare. Non sono affari tuoi. Sa che deve tenerlo.»
«Ho anche visto una macchia sul cappello, sembrava sangue. Ci sono state ferite?»
«Solo qualche graffio. Ce la caviamo da soli. Non chiamare più.»
Una settimana dopo, la maestra corse in infermeria, visibilmente preoccupata.
«Ha un terribile mal di testa» sussurrò. «Si aggrappa a sé stesso, barcolla, parla a malapena.»
Il bambino era seduto sul divano, gli occhi fissi a terra, le mani sulla testa.
Sofia si inginocchiò accanto a lui.
«Ascolta, devo dare un’occhiata. Chiudiamo la porta, nessuno vedrà.»
Lui tremava e non rispondeva. Poi sussurrò:
«Papà ha detto che non si può filmare. Si arrabbierà. E mio fratello ha detto… se qualcuno lo scopre, mi porteranno via. Sarà colpa mia.»
Sofia sospirò profondamente e si mise i guanti.
«Non è colpa tua. Lascia che ti aiuti, per favore.»
Chiuse gli occhi e annuì piano.
Quando tolse delicatamente il cappello, il bambino urlò.
«È incastrato… fa male…»
Con soluzione antisettica, cerotti e molta cautela, Sofia lavorò lentamente. Il cappello sembrava quasi essere cresciuto sulla sua testa.
Quando finalmente lo tolse completamente, le due donne rimasero immobili per l’orrore.
Non c’erano più capelli sotto il cappello. Solo ustioni profonde, rotonde e purulente. Alcune fresche, altre cicatrizzate. Ustioni da sigaretta. Tagli infiammati.
«Oh mio Dio…» sussurrarono, coprendosi la bocca con le mani.
Il bambino rimase seduto tranquillo, con gli occhi chiusi.
«Papà diceva che ero malato» sussurrò. «Mio fratello mi ha comprato il cappello affinché nessuno lo notasse… Diceva che sarebbe passato…»
Quella stessa sera la polizia portò via il padre, e il bambino fu visitato in ospedale e messo al sicuro.